Suoni e canti da oltre
un decennio in giro per l’Italia e incidi il primo disco a 31 anni,
un disco che a ben guardare le date di composizione dei brani è già
quasi una raccolta: a chi imputare la colpa di questo ritardo?
Principalmente a me
stesso!
A me l’idea di mandare
per il mondo dei pezzi della mia vita su cui non esercito più nessun
controllo e che la gente può ascoltare anche me assente o (a rigore)
morto, fa schifo e paura.
Aggiungi che non sento
impellente il bisogno di trasformarmi in un prodotto smerciabile, ma
che ho sempre avuto (contrariamente a parecchi colleghi della mia
generazione) l’opportunità di esprimermi molto dal vivo!
Ecco dunque delinearsi
il quadro di un artista che sputa nel piatto in cui (non)mangia: la
discografia, prima di tutto come filosofia di (non)vita e poi come
industria.
Targa Tenco 2004 per
“Resistenza e Amore”: è proprio fondamentale un album edito per
essere notato dagli addetti ai lavori? E’ proprio vero allora che il
buono e il cattivo tempo in Italia lo fanno le case discografiche…
Per gli addetti ai
lavori è ancora necessario un desueto supporto come il CD, e questo
non fa onore alla loro pigrizia mentale, invece i non addetti di me
s’erano già accorti attraverso la libera circolazione in rete (oltre
che i concerti).
Le case discografiche
vere e proprie, non quelle fuffa come noi, hanno più che altro
influenza sul sistema distribuzione/promozione… per cui a te viene
lasciata un’ipotetica libertà di parola che è, in realtà, la libertà
di dirla la parola, ma non di farla ascoltare. Aggiungi che la SIAE
è connivente con quest’atteggiamento e avrai il quadro di questa
situazione che un raffinato come Gaber chiamava “la superstizione
della democrazia” e che un bruto come me chiama fascismo tout court.
Dunque la risposta non può essere che resistenza (e amore, uff…).
Pubblicare con Nota e
Trovarobato, nel cuore pulsante del territorio indipendente della
discografia italiana, è un gesto di resistenza, o solo il segno che
le major non sono più interessate alla musica d’autore?
Vorrei chiarire che
non è che abbiamo bussato, con le nostre canzoncine, a tutti i
riveriti portoni dei padroni del vapore… cioè, loro non son venuti
di certo a cercarci, ma neanche noi abbiamo chiesto nulla!
Ergo, la musica
d’autore se ne sbatte della discografia della major quanto le major
se ne sbattono di lei! E non è detto che qualcuno ci perda!
Per una certa
generazione di cantautori la chitarra “era una spada”, un’arma
necessaria e sufficiente per dare forza ai versi delle proprie
canzoni…
Già negli anni
settanta è però arrivato qualcun altro per cui “il mitra è un
contrabbasso”!
Io, a costo di
apparire banale, tenderei a usare gli strumenti e le armi per i loro
appositi e differenti scopi! Visto dunque che la chitarra non è una
spada, il contrabbasso non è un mitra e la batteria non è una
spingarda, io con questi strumenti provo a fare della musica! È così
straordinario per un cantautore (per quanto) impegnato?
Cosa rappresenta la
tua collaborazione con i Mariposa? Solo strategia di marketing o la
convinzione che l’arrangiamento sia un piano creativo assolutamente
non trascurabile?
Ah beh, si… direi che
unire il mio Target col loro rappresenta una strategia invincibile…
una specie di Waterloo della canzone!
Scherzi a parte, la
sala di registrazione, come dicevo più su, a me risulta
terribilmente uggiosa. Il minimo che potessi chiedere al primo disco
vero era di stupire me per primo, di suonare diverso da tutto ciò
che si era sentito prima.
L’arrangiamento – l’italianissima
arte di arrangiarsi, anche in canzone - non esiste: o è
composizione, cioè ha dignità pari alle parole, alla melodia,
all’interpretazione, o è merda.
Capossela, ma anche
Bersani, Silvestri, Gazzè, Zampaglione sono “cantautori” quanto te?
C’è qualcuno tra le giovani leve della nostra musica d’autore a cui
ti senti artisticamente vicino?
Nella serie di nomi
che fai – da Bersani a Zampaglione - c’è come un crescendo di
venatura (cosiddetta) Pop, nella quale si riconosce una specie di
terra di nessuno in cui il Pop si contamina con una pretesa canzone
d’autore pura! Ciò è banalmente dovuto al fatto che ci sia, in
questi autori, un atteggiamento di maggiore cura nella scrittura
delle canzoni. Quest’atteggiamento me li fa ovviamente sentire più
vicini di quanto non senta Orietta Berti…
Alla fine voglio però
precisare che ciò che mi fa sentire vicino a qualcuno non è il
prodotto d’arrivo, ma le intenzioni… la ricerca. Così mi sento
vicino a chi, magari facendo il pittore, il poeta o il drogato,
partecipa della mia stessa inquietudine!
Gli inizi di Venditti,
Pino Daniele, Bennato, dello stesso De Gregori vedono opere
realmente ispirate, poeticamente sublimi e sinceramente
appassionate: quando e perché comincia a declinare la parabola
dell’ispirazione cantautorale?
Mai!
Eccomi a voi!
In “Parigi val bene
una mossa” parli della tua poetica pigrizia, eppure ti sei spostato
appena a diciott’anni da Lecce a Milano, dal sud al nord: perché?
Fare l’artista a Lecce
è mooolto più difficile che a Milano! Dunque la scelta di emigrare
fu coerente con la mia pigrizia.
Vi sono tracce delle
tue radici meridionali nella tua arte?
Per quanto riguarda le
radici credo che certo gusto per la lingua barocca sia assolutamente
figlio della leccesità. Io ho per le parole sentimenti assolutamente
contraddittori: da una parte tributo loro una specie di reverenza
religiosa, dall’altro le uso per ammaliarmi e guarirmi, per danzare
la pizzica del pensiero, per dire il contrario del contrario, per
dimostrare per assurdo la fatica dell’esistere. Tutto questo, lo
riconoscerai, è assolutamente meridionale. Bene* dicet, Bene* docet!
Che cosa evoca la
parola resistenza, oggi, in Alessio Lega e cosa pensi possa evocare,
invece, nei più giovani?
Ahi! Innanzi tutto
sento una pugnalata ogni volta che mi soffermo a pensare che esiste
gente più giovane!
Anzi ti dirò che la
necessità del senso profondo della parola resistenza uno più è
giovane e più la sente. Dunque stabiliamo questa semplice regola:
chi sente dentro di se l’esigenza di resistere, a un’occupazione o a
una colonizzazione, ha futuro, dunque è giovane. Chi si è arreso non
ha futuro “ed è una morte un po’ peggiore”.
Il tuo concerto a
Salerno anticiperà di qualche giorno il 25 aprile; molto
probabilmente una delegazione della neonata ANPI di Salerno
assisterà al concerto: quanto ti senti vicino al concetto di
resistenza espresso dalla lotta partigiana?
Oddio, tu vuoi dare un
emozione troppo forte al povero artista prima che abbia financo
aperto bocca!
Sono onorato e
commosso già solo al pensiero. Per il resto posso dire che la
resistenza sta alla nostra storia come l’amore sta alla nostra vita…
è la premessa indispensabile a una cosa che altrimenti non varrebbe
la pena di continuare. Ma credo di aver già fatto un disco intero
per testimoniare quest’idea.
In che modo si può
fare resistenza oggi e a cosa, poi, bisognerebbe resistere?
La resistenza è l’atto
della vita contro la morte. I poeti resistono perché gettano parole
cariche di vita oltre i loro limiti. Carlo Giuliani col suo
estintore in mano resiste al mercato della morte globale. Lui era ed
è più giovane di me. Come i Cervi, come Dante di Nanni.
Oggi tutta la nostra
vita è delegata. Quando nacquero le grandi arti popolari, fumetto e
cinema, un popolo di mediocri impiegati delegava a uno schermo la
vita eroica: i pericoli di una foresta, un viaggio intergalattico,
una donna perduta e impossibile… Andare oltre i limiti, fare abuso
di sesso, droga e di rock and roll fu delegato alle star
autodistruttive.
Oggi ci siamo così
pervertiti che già solo un gruppetto di persone che vivono chiusi in
un appartamento è un esperienza di vita non più alla nostra portata
e la deleghiamo al teleschermo…
Bisogna resistere a
questa morte, smettere di delegare. Portiamo i nostri cuori, i
nostri estintori, le nostre canzoni per la strada.
Ho letto che sei
fumettista: cosa c’è in comune tra questa forma d’arte e la musica?
Fui fumettista. Oggi
non so cosa i due generi abbiano in comune… certo non me!
Paga di più la musica
o il fumetto?
Ah, giusto… ecco una
cosa in comune: si muore di fame!
Al di là della musica
d’autore (…in qualsiasi lingua…), cosa altro ascolti?
Gli altri. Quelli che
fanno musica di qualsiasi genere, ma anche quelli che non ne fanno,
ma che dicono spesso cose molto interessanti, che sono musica per le
mie orecchie.
Infine, un libro e un
film…
“Tu sanguinosa
infanzia” di Michele Mari ed “Heimat 2” di Edgar Reitz.
*inteso come Carmelo. |